La Cura e L’Attesa – XV^ Convegno nazionale di pastorale giovanile
Il buon educatore e la comunità cristiana.
Da pochi giorni si sono conclusi i lavori del XV Convegno nazionale di Pastorale giovanile “La cura e l’attesa” dedicato alla figura dell’educatore in oratorio. Più di 700 persone erano presenti a Bologna per approfondire il tema del convegno. Sacerdoti incaricati della pastorale giovanile delle diverse diocesi d’Italia, suore e religiosi appartenenti alle varie congregazioni che svolgono compiti educativi, rappresentanti dei movimenti e delle associazioni cattoliche e molti educatori e animatori si sono potuti confrontare su un argomento davvero importante ai nostri tempi. Gli stessi vescovi italiani hanno dedicato in questo decennio la riflessione della Chiesa italiana al tema dell’urgenza educativa col volume degli orientamenti pastorali del decennio 2010-2020, “Educare alla vita buona del Vangelo”. In queste poche righe, sicuramente in modo riduttivo, proponiamo i principali spunti di riflessione che i diversi relatori hanno trasmesso con i loro interventi, sperando che possano essere occasione per una rinnovata speranza di fronte al tema dell’oratorio e delle azioni educative che viviamo nelle nostre comunità parrocchiali.
Uno sguardo sull’oratorio con l’attenzione al futuro.
“Basta guardare al passato! il cristiano non ha la testa rovesciata dietro, ma ha la testa rivolta al futuro, perché altrimenti non è un cristiano. Se guardiamo al passato, dobbiamo farlo solo per poter osservare meglio il futuro. Questa società non crea più niente perché ha perso la categoria più importante per essere creativa, ossia ha perso la memoria del futuro”. Questo un passaggio della relazione di Marco Moschini, docente di filosofia teoretica dell’università di Perugia. Chiamato a parlare dell’azione educativa nell’oratorio, il professore ci ha guidato verso profonde riflessioni sull’istituzione educativa dell’oratorio presente in Italia da 500 anni. Con coraggio dobbiamo guardare al futuro dei nostri oratori, riconoscendo tutte le difficoltà presenti, ma con l’animo pronto a metterci in gioco, nella speranza di un domani che ci interpella nel nostro presente.
La crisi dell’oratorio e la fragilità dell’uomo contemporaneo
Quando parliamo di oratorio ci mettiamo all’interno di un sistema educativo complesso, in cui interagiscono soggetti, azioni e relazioni, spazi e luoghi, intenzionalità e speranze che non si possono semplicemente descrivere, perché il darsi dell’oratorio non è racchiudibile all’interno di un sistema di regole. Il darsi dell’oratorio si ha nella relazione quotidiana. Per questo motivo lo stesso educatore è una figura che non può essere concepita solo in funzione della teoria dell’educazione ne qualificata in base alla conoscenza delle tecniche di animazione. L’educatore si vede nelle relazioni che ha! Certo siamo in un contesto che ci porta a contemplare la crisi delle azioni educative, dell’oratorio e dell’educatore. Se concepiamo l’educatore come l’adulto che si occupa dei piccoli, dobbiamo riconoscere che l’adulto di oggi si trova in crisi, nella stessa crisi della società che vive un processo di regressione verso una dinamica pulsionale, dove vince il pensiero del “quello che voglio fare io”, “solo io decido”, e tutto viene guidato sulla base dell’istinto. In questa fragilità si pone l’educazione. Non come situazione di disperazione ma come occasione di riscoperta di relazione. Si perché proprio a partire dalla riscoperta del bisogno dell’altro, e quindi dalla relazione, è possibile destare dal torpore l’uomo oggi tanto ristagnato nel proprio guscio identitario. Se l’uomo apre gli occhi e accetta di riscoprirsi fragile, se riconoscendosi limitato giunge ad accettarsi per quello che è, allora quell’uomo scopre la salutare necessità di avere bisogno dell’altro ed inizia la vita di relazione come il darsi di un’alleanza che aiuta ogni parte a camminare nella vita e ad essere forte. Questo ci ha rivelato lo psichiatra Vittorino Andreoli: “L’adulto che sta nella fragilità è un adulto che non è ossessionato dal potere e che riscopre nel bisogno dell’altro la fonte di una relazione che apre al dialogo e libera dell’egocentrismo”, e ancora “due fragilità insieme diventano forza”.
Chi è l’educatore di oggi?
Quindi l’educatore è un adulto che nello spazio educativo della vita quotidiana agisce nelle relazioni come testimone, capace di generare perché ha imparato a stare al cospetto della propria autobiografia e riconosce le proprie fragilità. Chiara Scardicchio, docente in pedagogia, suggeriva questa riflessione sull’animo profondo dell’educatore. L’educatore può generare alla vita e alla fede se si mette egli stesso in cammino nelle sue fragilità, e stando al cospetto della vita dei più piccoli se ne prende cura nel suo esserci nella relazione, presente a chi gli è prossimo, e pronto a rimanere in attesa senza la tentazione della possessività ma nella fiduciosa speranza che la vita possa produrre il frutto di bene nei ragazzi che ha di fronte.
Per questo motivo, cercando di sintetizzare, possiamo vedere nell’educatore la presenza di una fragilità che apre alla rilettura della propria vita, fa prendere coscienza dei propri limiti e apre alla necessità del vivere il bisogno come occasione di relazione; l’educatore è poi capace di prendersi cura degli altri con il suo esserci, con il suo stare alla presenza del prossimo e dei ragazzi che ha di fronte e allo stesso tempo è colui che vive l’attesa carica di speranza, che non si racchiude nei propri schemi mentali, ma che pone attenzione all’altro nella pienezza del suo mondo. L’educatore non è mai un battitore libero, mai si pone di fronte ai ragazzi pensando siano “i suoi ragazzi”, ma si sente inserito in una comunità educante che insieme svolge il compito di accompagnare i più piccoli, è inserito in una equipe educativa e ancora più in largo è parte di una comunità che è soggetto primario del compito educativo e dalla quale riceve un mandato educativo che per quanto possa essere forte o labile presuppone un continuo cammino di accompagnamento e di formazione.
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